Con ordinanza del 15.05.2015 il Tribunale di Enna, si è pronunciato in merito alle esecuzioni immobiliari che hanno ad oggetto beni in regime di comunione legale dei coniugi, quando obbligato (debitore) è solo uno dei due. In particolare, si affronta la questione della sorte dei pignoramenti immobiliari eseguiti “sulla quota” del coniuge obbligato sui beni comuni. Questione che è obbligatorio affrontare per i giudici di merito per le innumerevoli esecuzioni in corso alla luce della pronuncia della Cassazione, sezione III, nr. 6575 del 14.3.2013 con la quale la Corte ha stabilito che “La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l’espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all’atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione”. In particolare, la pronuncia del tribunale ennese, attiene a quell’aspetto della disciplina transitoria sulla sorte delle esecuzioni pendenti “sulla metà” dei beni comuni. Si tratta di capire se tali pignoramenti sono da ritenersi improcedibili o sanabili. Secondo il Tribunale siciliano, è certo “più equo e rispettoso del diritto consentire a chi non sia ancora in regola di poter regolarizzare il procedimento [esecutivo] mediante l’estensione del pignoramento per l’intero bene immobile in comunione legale”.
Il commento che quindi ci occupa, attiene alle forme della “estensione del pignoramento” di un’esecuzione iniziata solo contro il coniuge obbligato in ragione della quota di metà a lui spettante sulla comunione. Precisiamo subito che la decisione in commento si pone nella stessa linea interpretativa assunta dal Tribunale di Pordenone e dal Tribunale di Crotone (ma si veda anche Tribunale di Campobasso, 17.5.2013; Tribunale di Cassino, 17 marzo 2014 e Tribunale di Ferrara, istruzioni), secondo la quale “Il pignoramento deve essere trascritto contro entrambi i coniugi non soltanto perché questa è la soluzione più garantista nei confronti del coniuge non debitore, ma anche perché è la idonea a salvaguardare i risultati finali della vendita. Se infatti si ammettesse il pignoramento per l’intero soltanto contro il coniuge debitore sussisterebbe il rischio di procedure contemporaneamente pendenti nei confronti di entrambi i coniugi ma non riunite perché non segnalate dalla Conservatoria (che verifica i pignoramenti anteriori in base al nominativo del debitore, essendo i RR. Il. su base personale e non reale)”. Nel caso in esame, il creditore personale – cioè estraneo ai bisogni della famiglia – di uno dei coniugi aveva notificato e trascritto nel 2013 il pignoramento solo sulla metà dei beni, per la quota appartenente al debitore principale in regime di comunione legale col coniuge non obbligato. Formulata apposita eccezione di improcedibilità dell’esecuzione da parte del debitore principale per essere rimasti fuori dall’esecuzione anche i beni (l’altra metà) intestati al coniuge non obbligato, il giudice ha ritenuto di accogliere la richiesta del creditore di “estendere” il pignoramento sui beni del coniuge non obbligato del debitore e contitolare dei diritti sulla comunione. Ma questo, avverte opportunamente l’ordinanza in commento, è possibile esclusivamente “per i procedimenti che non si siano uniformati all’indirizzo voluto dalla Corte di Cassazione ed iniziati anteriormente al 31 dicembre 2014”, con possibilità di integrazione od estensione del pignoramento. La domanda a questo punto è: il pignoramento deve essere rinnovato o integrato? E che cosa si intende per integrazione? Per alcuni giudici di merito (Tribunale di Pordenone) va rinnovato su tutto il bene. Per altri (Tribunale di Cassino) va integrato o rinnovato. Ma in che modo? La domanda ha ovvi risvolti pratici: per esempio, sia in caso di integrazione che in caso di rinnovazione, si pignora 1/1 o l’altra ½ dell’intero essendo già stata pignorata la prima ½ del coniuge obbligato? Un tentativo di risposta può essere quello di prendere le mosse dalla stessa sentenza della Cassazione. Quando la Corte afferma il principio di diritto per il quale la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l’espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, è evidente che la rinnovazione o l’integrazione del pignoramento deve colpire non la quota pari a ½ della proprietà appartenente al coniuge non obbligato ma la quota di 1/1. In questo senso, coglie nel segno la dottrina quando afferma che “In terzo luogo l’espropriazione di interi beni, con possibilità di soddisfarsi sull’intero ricavato della vendita forzata e non su una parte soltanto del loro controvalore economico, è la sola via perfettamente coerente, come sottolineato, con la teoria della proprietà solidale, che attribuendo ai coniugi un diritto pieno, e non un diritto parziale, su ogni bene implica anche che ciascuno sia legittimato per il medesimo intero bene a subire l’espropriazione forzata” E quindi, al di là delle inevitabili improprietà del termine “quota” nella materia in esame, l’integrazione del pignoramento dovrebbe colpire la “quota di 1/1” appartenente al coniuge del debitore. L’incertezza terminologica, può essere superata dalla constatazione che l’art. 189 comma 2 del c.c. legittima la soddisfazione del creditore “sui beni della comunione” anche se “fino al valore della quota del coniuge obbligato”. Ma ciò significa soltanto che il credito è limitato al valore della quota e non che sia espropriabile solo la quota. Tanto è vero che il coniuge non obbligato “avrà diritto alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione” (Cass. 6575 del 14.3.2013). Ecco perché l’integrazione del pignoramento avrà ad oggetto “1/1 della proprietà” ossia il diritto unico e pieno (1/1) sul bene del coniuge non obbligato per un valore (del credito da soddisfare) pari alla quota del coniuge obbligato. Non vi potrà essere, insomma, un’integrazione del pignoramento “sulla rimanente metà” o formule simili, del coniuge non obbligato, poiché non si tratta di sommare la “prima metà” del coniuge obbligato, pignorata, con “l’altra metà” del coniuge non obbligato, pignorata per estensione o integrazione. In realtà, il vero problema è proprio la formulazione dell’art. 189 “formulata malamente e, soprattutto, senza considerare le implicazioni processuali riconnesse alla prevista espropriabilità dei beni in comunione legale da parte dei creditori personali di ciascun coniuge”. Rimane un’ultima questione: tutti i tribunali interessati al caso, hanno fissato il momento processuale entro il quale è possibile la integrazione del pignoramento. Per esempio, il Tribunale di Crotone, per le procedure in corso, ammette l’integrazione del pignoramento dal momento in cui l’esperto segnali al giudice la trascrizione eseguita solo sul 50%; il Tribunale di Campobasso, la ammette fino al momento in cui non sia stato “concesso” il termine per l’introduzione del giudizio di divisione; il tribunale di Cassino la ammette per le procedure che si trovano nella fase antecedente l’udienza di cui all’art. 600 cpc; il Tribunale di Ferrara, la ammette fino a quando non è stata disposta la divisione previa celebrazione della udienza ex art. 569 cpc; il Tribunale di Pordenone, per quelli effettuati anteriormente al 31.12.2014; il Tribunale di Vasto fino a quando non sia stata ancora disposta la vendita o concesso il termine per l’introduzione del giudizio di divisione. Le soluzioni appaiono corrette: il bene verrà messo in vendita o sarà oggetto della divisione solo se è stato “vincolato” dal creditore nella sua interezza, anche con l’estensione del pignoramento. Ciò sarà inammissibile dopo l’ordinanza che dispone la vendita o dopo lo spirare del termine per l’introduzione del giudizio di divisione, procedimenti che non potranno avere ad oggetto beni pignorati in ragione di metà.
[Fonte: www.altalex.com]